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Gianfranco Marchesi:
La Rinascita attraverso la Bellezza 

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relazione "La rinascita attraverso la bellezza", a cura del dottor Gianfranco Marchesi, medico, chirurgo, specialista in diagnosi e cura di malattie neurovegetative. 

Si interessa da anni di neuroscienze ed è autore di numerose pubblicazioni nell'ambito della neuroestetica. "La rinascita attraverso la bellezza". Grazie. Gentili signore e signori, cari amici Lions ed esimie autorità, grazie per l'invito a questo importante congresso delle città murate Lions, soprattutto al dottor Zanazzi, regista di tante iniziative culturali e benefiche, alla cui benevolenza devo la mia presenza qui di neuropsichiatra appassionato delle neuroscienze. E proprio nella loro ottica declineremo il tema della bellezza. Vedremo il suo viaggio nel cervello per tutti, anche per le persone ipovedenti. Bellezza che è considerata un ingrediente fondamentale di questo neorinascimento, oggi oltremodo necessario e auspicato, in un periodo storico difficile, tormentato, post-pandemico e bellico. Certo che il contesto architettonico in cui ci troviamo, questo splendido teatro olimpico, in un altrettanto straordinario, ideale paesaggio urbano, che con le mura aperte è fruibile a chiunque, ci agevola un po' e mi agevolerà nella mia presentazione. Perché parlare di rinascita e di rinascimento? Il rinascimento è stata una stagione culturale complessa e coraggiosa che fiorì nella penisola italiana e diede inizio alla modernità, rincorrendo in senso neoplatonico un'idea di bellezza. Protagonista un gruppo di spiriti colti e visionari attivi nel primo quattrocento, per chiudere un'epoca e farne crescere un'altra, con cambiamenti profondi nella concezione dell'uomo della sua vita nella produzione e diffusione del sapere, nell'organizzazione della cultura. Inquietudine e insoddisfazione trovarono nel genio trasformatore italiano quello slancio creativo che segnò una cesura della storia. Ecco, perché in Italia? In Italia innanzitutto per la presenza di una considerevole mole di tesori, patrimoni dell'umanità, che sollecitava la creatività. Il processo di rinascita fu indubbiamente favorito dalle ambizioni politiche delle corti italiane, che diventarono officine del bello, per legittimare le loro recenti origini spesso controverse. Ma perseguendo il bene della comunità e al contempo l'autocelebrazione, signori come Federico da Montefeltro, Lorenzo de' Medici o questa dinastia dei Gonzaga, di cui abbiamo sentito dal professor Sartori, investirono in imprese di vario genere, dalla costruzione di imponenti palazzi alla istituzione di biblioteche, che poi li avrebbero consegnati alla storia. Quindi nel Rinascimento si restaurò sì il passato, ma si orientarono il presente e il futuro, abbandonando la vana rassegnazione fatalistica. Sotto le cenere della crisi, insomma, germogliarono entusiasmi e fermenti innovatori per riscoprire e andare avanti, intrecciando e valorizzando tradizioni diverse. Questo neorinascimento però, secondo anche noi, diciamo, neurologi, dovrebbe oggi comprendere, oltre alla bellezza di cui parleremo, l'arte e la cultura, ma anche valori come l'empatia, la solidarietà, l'altruismo, ho sentito parlare di fraternità, l'amicizia, il senso di giustizia verosimilmente innato dentro di noi, la gratitudine, il perdono, la gentilezza, sono tutti ingredienti che hanno avuto recentemente un accreditamento scientifico circa la loro virtuosità per l'individuo e di riflesso per la società. Ma torniamo alla bellezza. La bellezza è un concetto, un'idea tra le più discusse, indagate, equivoche, ambigue, studiate di tutta la cultura filosofica e artistica dell'intero occidente. Una nozione molto antica, che compare agli albori del pensiero già nei Pitagorici, poi in Platone, in Aristotele, negli Stoici, Cicerone, e poi attraversato i secoli e il Medioevo, fino alla divina proporzione di San Tommaso, Leonardo, gli artisti rinascimentali, Hegel, Baumgarten, Kant. Bene, la direttrice metafisica platonica della bellezza, mediatrice tra il sensibile e il sovrasensibile e la torsione copernicana dell'estetica che ha fatto Kant, per cui alla fine è bello ciò che piace, apre la strada all'area di intersezione tra il biologico il simbolico. Cioè oggi c'è un fattivo dialogo tra filosofia e scienza in particolare, sperimentali, soprattutto le neuroscienze cognitive e la neuroestetica in particolare, che è questo filone di ricerca che si occupa dei rapporti tra l'arte e il cervello. Oggi le neuroscienze sono in grado di contribuire in modo concreto e oggettivo ad affrontare temi come l'espressione simbolica, l'arte, l'estetica. Erano temi che fino a non molto tempo fa erano prerogativa delle scienze umane, in primis la filosofia, che oggi necessita nelle sue riflessioni e nelle sue argomentazioni dei dati empirici forniti dalla scienza. Se vuol continuare ad essere suprema ricerca della verità e conoscenza del reale, oggi il ricercatore filosofico deve mirare al vero, ma partendo dal provato. E allora queste neuroscienze ci hanno, diciamo, ultimamente arricchito molto sulla organizzazione strutturale e funzionale del cervello. Questo è stato reso possibile dalle successive... Queste neuroscienze ci hanno dato la possibilità di conoscere, dicevo, il cervello. Grazie alle tecniche che abbiamo in diagnostica, la risonanza magnetica funzionale, la tomografia e emissione di positrone, oppure appunto dicevo la risonanza magnetica funzionale, una utilizza il glucosio marcato, l'altra le variazioni di circolo. Dove c'è più circolo, dove va più glucosio, è chiaro che c'è un network di neuroni che lavora di più. E quindi oggi abbiamo potuto costruire una mappa, una cartografia delle varie funzioni cerebrali. Quali lampadine si accendono quando facciamo determinati compiti? Se assaporiamo un cibo, se guardiamo un quadro, se guardiamo, se ascoltiamo della musica, facciamo un calcolo o recitiamo una poesia. Ben sapendo che localizzare non vuol dire spiegare, ma è un punto di partenza fondamentale, altrimenti c'è anche il rischio di andare a cercare qualcosa che non c'è. Anche se non dobbiamo essere troppo riduzionisti e tornare all'antica ottocentesca frenologia di Gall e Spurzheim, che pensate facevano derivare le funzioni mentali e i tratti del carattere dai bernoccoli, dalle bozze del cranio. Quindi oggi la neuroestetica è questo filone di ricerca che si occupa dei rapporti tra l'arte e il cervello. Cioè cosa succede nel cervello di fronte a un'opera d'arte? Cercando di stabilire delle connessioni plausibili, anche se non definitive, tra le osservazioni biologiche nel cervello e la fruizione estetica soggettiva del bello. Che cosa ci hanno detto queste neuroscienze? Ci hanno detto che praticamente, ecco, ci hanno detto praticamente che la base della fruizione della bellezza consiste in un dialogo, in un cablaggio, in un ping pong funzionale tra i centri antichi e centri nuovi del cervello. Vedete qui, ho fatto rapidamente la classificazione del cervello 3-1 secondo MacLean. Vedete, possiamo distinguere nel cervello tre porzioni. C'è una porzione profonda nel cervello, che sono le fondamenta rettiliane. È un pezzo di cervello antichissimo che abbiamo ereditato dai rettili, in cui ci sono le funzioni automatiche e semi-automatiche. C'è il battito cardiaco, l'attività respiratoria. Poi vedete, diciamo, la corteccia cerebrale in azzurro, vedete, è la più recente acquisizione dal punto di vista filogenetico, è quella che ci ha fatto diventare sapiens sapiens, sviluppandosi talmente che ha dovuto raggrinzirsi per stare dentro alla scatola cranica. Ci sono le funzioni simboliche e superiori. C'è l'apprendimento, il linguaggio, la pianificazione del futuro, il ragionamento logico. Tra l'attico corticale e le fondamenta rettiliane vedete un centro che è il sistema limbico. Il sistema limbico è un centro antico nel cervello, ma non vecchissimo come quello rettiliano, a 30-40 mila anni. In questo lobo limbico, fatto da alcuni centri tipo l'Accumbes, l'Insula, il Geruscingoli, ci sono le emozioni, le pulsioni, le motivazioni ed il piacere. Un centro antico che è stato molto vituperato dal dibattito filosofico e quindi esiliato anche dalla ricerca scientifica per l'errore di Cartesio. Cartesio nel 600 ha detto "le emozioni iscritte dentro a questo non sono degne dell'uomo, sono paragonabili agli istinti animali e quindi fattori di turbamento". Poi è arrivato nel 700 l'illuminismo che col suo snobismo, col corticale della ragione, ha mantenuto questa posizione. Poi finalmente, nell'Ottocento, è arrivato Darwin e Darwin ha detto "guardate che le sei emozioni scritte dentro questo cervello sono fondamentali per la sopravvivenza". Sapete che le sei emozioni sono la gioia e la tristezza, la rabbia e la paura, la sorpresa e il disgusto. Se noi non abbiamo queste emozioni, abbiamo, diciamo così, una fragilità che può minare la nostra, se non abbiamo paura del serpente, la paura del fuoco, se non abbiamo il disgusto di un cibo tossico e via via. E quindi è arrivato poi Freud e tutti gli psicanalisti. Il loro sogno era quello di trovare una base biologica alle loro teorie psicodinamiche. Oggi Freud ha trovato casa in questo lobo limbico, l'inconscio è lì. E oggi, tanto per chiudere questo messaggio, i neuroscienziati tipo Damasio, questo neuroscienziato portoghese che lavora in California, dice che soltanto se ci emozioniamo possiamo ragionare bene. Cioè il lobo limbico emozionale è il motore esistenziale fondamentale, perché la ragione ci aiuta a vivere, ma chi ci motiva a vivere sono le emozioni. Lo dicono oggi i neuroscienziati, lo diceva duemila e oltre anni fa Platone che nelle leggi diceva "la corda aurea della ragione a sede corticale, mite e non violenta com'è, deve mitigare, controllare e guidare le cordicelle limbiche delle passioni e delle emozioni che muovono l'uomo come una marionetta". Quindi anche Leopardi aveva già anticipato questa concezione. Nell'infinito, dice io, nel pensier mi fingo, cioè io da grande poeta ascolto il cuore e i sentimenti. Poi da grande filosofo com'era, non perdeva mai la guida della ragione. Quindi oggi il messaggio è che noi neurologi e psichiatri diamo, è che dobbiamo conciliare molto bene il cui, il quoziente di intelligenza logico-analitica-razionale che ha imperversato per tutto il Novecento come denominatore di felicità, oggi non è più sufficiente. Oggi ci vuole il cui l'intelligenza emozionale, la capacità di ascoltare e guidare le nostre emozioni e conseguire così la signoria su se stessi. Allora la bellezza oggi era per dirvi che consiste proprio in questo cablaggio, in questa interfaccia diciamo funzionale tra la corteccia e lobo limbico. Quindi abbiamo diciamo così, un dialogo tra il mondo appollineo delle idee misurate, proporzionate, simmetriche, a sede corticale e naturalmente le idee invece dionisiache del centro limbico, centro oscuro, delle passioni. Ecco, pensate che questo lo dicono oggi i neuroscienziati, ma pensate che nella Vienna dei fine ottocento e prima novecento, un crogiuolo di fermenti culturali straordinari, Jacques Limpte, ha fatto un fregio in onore di Beethoven, l'inno alla gioia, aveva già diciamo dipinto la cetra simbolo di Apollo avvolta dai pampini della vite simbolo di Dioniso. Si rifaceva al Nice della nascita della tragedia che si rifaceva a sua volta al Tempio di Delfi, dove sul frontone occidentale c'è Apollo seduto sul Parnaso con le muse che presiede una visione del mondo armoniosa, chiara e misurata. Sul fronte orientale c'è Dioniso che custode di una bellezza conturbante, folle e possessiva. Quindi oggi il bello, considerando questi centri che accende nel cervello, è considerato dai neuroscienziati una metaemozione. Cosa vuol dire? Vuol dire che è un sentimento con un contenuto corticale, simbolico di pensiero, culturale, ma un vissuto sotto corticale profondo limbico di piacere. Quindi abbiamo questa duplice componente nella bellezza e lo diceva già Lévi-Strauss, grande antropologo francese, diceva l'arte, che è la comunicazione intersoggettiva della bellezza, è un sogno condiviso, prima sciocco emozionale e poi argomento razionale. Noi entriamo nelle opere d'arte, fruiamo della bellezza con i sensi, le emozioni e la ragione. E allora, tanto per chiudere questo aspetto, vi devo dire che quindi la bellezza non è un concetto tanto astratto, perché ha naturalmente dei centri e delle vie, come vi ho illustrato, nel cervello. E allora voi dite "ma come mai il cervello dedica degli aspetti funzionali anatomici così importanti per la bellezza. Allora vi devo dire che la bellezza è gratificante per il servizio che ha reso alla sopravvivenza. Come tante esperienze, tipo la sessualità, l'alimentazione, che hanno permesso la sopravvivenza, progresso di individui e specie sono stampate nel cervello a funzione gratificante. E allora voi dite ma la bellezza cosa c'entra con la sopravvivenza? C'entra perché il senso estetico si è iscritto, con le sue griglie gestaltiche, i suoi canoni, si è iscritto nel cervello per opporsi al caos, al disordine entropico, all'informale, alla confusione che il cervello non ama e ha potuto permettere di passare dal caos al cosmos, alla conoscenza, al sapere, dare ordine e significato alle nostre percezioni sensoriali. Quelle che arrivano sono le nostre porte aperte sul mondo fenomeni. E questo senso estetico ci ha permesso quindi di conoscere la realtà e il mondo con maggiori possibilità chiaramente di adattamento e di sopravvivenza. Pensate che ancora oggi, nella scelta ad esempio dei partner coniugali, albergano dentro di noi a livello inconscio dei criteri di attrattività fisiognome che per la donna potevano voler dire salute, fertilità, capacità di accudimento della prole, longevità per l'uomo, viceversa, tratti che potevano dire coraggio, forza di proteggere la famiglia, di trovare cibo di sostentamento per la famiglia e così via. Quindi l'arte oggi, grazie alle neuroscienze, è uno stimolo, potete capire, ricco, potente, complesso, culturale 50%, emozionale 50%. La musica ad esempio è 90% emozione e 10% cultura. Ma la forza dell'arte è anche quella di entrare nella, diciamo così, a livello della interiorità più profonda delle persone. Entra nei sotterranei della mente, nei bassifondi dell'Io e lì descrive, percorre quell'Africa interiore, come la chiamava il poeta romantico, Ian Paul Ree, e l'arte fa bene. È una straordinaria, diciamo, risorsa per la nostra salute, contro depressione, invecchiamento, stimola il cui, stimola il cui, e quindi fa bene anche alla salute. Così si spiega il secolare rapporto con la medicina. Vedete che sono stati un simbolo del nostro umanesimo e pionieri di questo rapporto di arte e terapia gli antichi ospedali rinascimentali. Il Ca’ Granda di Milano, fondato da Francesco Sforza nel 1456, aveva chiesto ai costruttori e ai decoratori che fosse soprattutto bello. C'è il Santa Maria della Scala di Siena, tutto affrescato, straordinario. Quindi oggi negli ospedali, lo vedete un po' ovunque, c'è un'arte appesa ai muri, ci può essere un'arte anche in atelier operativi, in ambienti oncologici, in ambienti psichiatrici o di traumatizzati cranici. L'arte è una risorsa straordinaria per i malati e i familiari. Fa bene all'impresa. C'è un rapporto oggi dell'arte con le imprese, perché è promozionale sul brand, crea un dialogo col territorio, può essere una ricchezza di creatività per i dipendenti. E soprattutto nella società, ha questo straordinario potere l'arte, opporsi alla collettivizzazione delle coscienze, alla omologazione del pensiero a cui siamo esposti grazie ai social network. Perché la creatività dell'artista è promozionale sul mantenere la bellezza della singolarità, della propria individualità, di pensare ognuno con la propria testa, che è l'unica possibilità e risorsa di ascesi personale e civile. Chiudo questo qua dicendo che Stendhal non mentiva, dicendo che la bellezza è promessa di felicità. Questa bellezza va dunque comunque mantenuta e realizzata, perché non ne abbiamo a disposizione molte altre di promesse di felicità, almeno di così affascinanti, consolatorie e stimolanti ad essere migliori, a vivere ciò che ci circonda, a trarne lo spunto per creare ancora qualcosa che regga il confronto con un passato splendido e ci consenta un futuro. Le mostre, i musei, questi borghi straordinari sono cantieri culturali che, partendo dalla bellezza naturale dei grandi artisti, non deformata dai canoni dionisiaci della bellezza contemporanea ci fanno ancora innamorare dell'oggi e costruiscono un'idea di domani, diversa e possibile. "La bellezza salverà il mondo", ci dice Dostoievsky nell'idiota mettendola in bocca al principe Mishkin. E chiede il giovane Hippolyte Morituro di Tisi a Ventanek, ma quale bellezza? La bellezza della speranza e dell'amore. E la bellezza comunque non porta con sé solo un aspetto estetico, ma anche nel senso greco e kantiano del kalos kaiagatos un imprescindibile valore etico, per cui il bello estetico è anche il buono della morale. Questo dobbiamo insegnare ai bambini, perché l'educazione artistica è fondamentale, perché insegnare loro la differenza tra il bello e il brutto li porterà a distinguere poi il bello dal cattivo nel condotte sociali, etiche e nei comportamenti. Finisco con il messaggio di Paolo VI agli artisti 1965. Diceva "Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione". Parole attualissime. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini. È quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell'ammirazione. Grazie anche alle mani degli artisti, che sono i custodi della bellezza del mondo. Anche Papa Francesco, nell'Evangelii Gaudium, dice "Noi non ci attrae se non la bellezza". Due parole solo finali su un argomento a cui i Lions hanno dedicato e dedicano tanta sensibilità, attenzione ed energie per contrastarle e comunque ridimensionarla negli aspetti di infuzionale, l'amminorazione visiva. Allora vi devo dire che, vista la potenza dell'arte, non possiamo negare questo beneficio a qualsiasi essere umano. umano, questo lo diceva Rudolf Arnheim, grande sociologo. Per lungo tempo si è pensato molto superficialmente che i non vedenti potessero accedere al mondo dei suoni e delle parole, ma non a quello delle immagini. Fortunatamente, almeno negli ultimi anni, l'attenzione a tali problematiche sembra aumentare e allo stesso tempo si sta diffondendo la consapevolezza che ci sono concrete possibilità del non vedente a partecipare e godere dei beni artistici. Tutto questo passa attraverso naturalmente un attento e valido processo educativo che coinvolge il non vedente già dalla scuola dell'infanzia. In particolare il cieco riuscirà ad apprezzare il valore estetico di una scultura o di un'architettura conosciuta attraverso un plastico se sarà educato a capire e interpretare l'arte attraverso l'esplorazione tattile, potrà giovarsi di esperienze dirette sui luoghi stessi dell'arte. Ecco questo anche progetto di immersione di queste persone all'interno qui della nostra città. Grazie a questo straordinario progetto del LETIsmart che è una premessa indispensabile per far entrare in empatia il non vedente con gli spazi. Guardate che le moderne neuroscienze hanno rivelato che diverse regioni del cervello, un tempo ritenute specializzate nell'elaborazione dell'informazione visiva, vengono attivate anche dal tatto. C'è un'area precisa occipitale laterale che diventa vista attraverso il tatto. Quindi, soltanto un'attente esplorazione tattile può consentire al cieco di ottenere una corretta rappresentazione mentale dell'opera d'arte. Una rappresentazione come fa? Una rappresentazione che viene costruita gradualmente, in maniera analitica, che risulta ovviamente più lunga e complessa rispetto a quanto consente la visione. un processo dove la capacità di astrazione e memoria sono gli elementi cognitivi senza i quali nessuna esplorazione tattile si renderebbe possibile. Quindi l'esplorazione con le mani è un'operazione intellettuale che si avvale degli elementi percettivi, elaborandoli e inserendoli una struttura anch'essa costruita con una serie di operazioni e non frutto di un atto intuitivo come la vista. L'immagine tattile non viene colta in un sol colpo come fa l'immagine visiva e non possiede l'immediatezza di quest'ultima, è mediata, si realizza nel tempo, è più labile nella rappresentazione e nella memoria. Due processi dunque sicuramente differenti, ma che conducono allo stesso risultato. La contemplazione dell'immagine diretta per coloro che vedono, mediata e mentale per i privi della vista. Ma anche il non vedente ha la sua esperienza estetica. Avete visto che l'arte e la bellezza hanno questa, diciamo così, invadenza nel cervello a livello... c'è un input sensoriale visivo per i vedenti, tattile per i non vedenti, ma questo input sensoriale, questo detonatore sensoriale, attiva gli stessi centri nell'uno e nell'altro, il lobo limbico e la corteccia. Quindi la stessa statua, ad esempio, propone a un vedente un'immagine visiva, a un cieco un'immagine tattile, oggettivamente simili nella forma, diverse nella modalità. È ovvio che solo una buona educazione, ecco la scuola, ecco le grandi esperienze del Museo Ante Ross a Bologna, oppure della pittura antica e moderna o del museo di Omero di Ancona, dove si fa formazione, dove si fa educazione, dove la pittura viene proposta con i basso rilievi di tipo rinascimentale captata. Addirittura ci sono esperienze per far sentire il colore attraverso diversa ruvidezza delle superfici, dove ci sono rappresentati grandi capolavori del passato di pitture e di scultura attraverso modelli eccetera. Anche chi è privo della vista quindi dalla nascita può disporre di strutture percettive dotate di una specifica dimensione spaziale, non troppo diversa dalle immagini dei non vedenti. Ma fondamentale è l'educazione. Nella scuola primaria, nella scuola secondarie, ci bisogna fare formazione ai docenti e quindi sensibilizzare anche le istituzioni. Vietato toccare nei musei, questo è un discorso molto diciamo così che depauper questo. Allora ci sono queste iniziative proprio per far fruire con la tattilità. È chiaro che la scultura è più facile. Pensate che ai bambini, per far capire una statua, facciamo l'embodiment, cioè facciamo assumere la stessa posizione o postura che ha la scultura, che così entrano in questo tipo di lettura. È chiaro che chiudo con l'architettura. Siamo qui con questo progetto, secondo me eccezionale di far entrare attraverso questo LETIsmart i soggetti a capire la topografia degli spazi, ad aiutarli nell'orientamento. E questo è fondamentale per entrare appunto in empatia con gli spazi. Se poi abbiamo dei modelli plastici, dei vari palazzi, delle varie strutture architettoniche, facciamo il meglio per costruire questa ricchezza e fruizione estetica anche per i non vedenti. Grazie. Grazie.

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